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La composizione della crisi da sovraindebitamento

La composizione della crisi da sovraindebitamento per l’abbattimento dell’esposizione debitoria e la possibilità di un pagamento rateale anche dei debiti fiscali (Legge n. 3/2012)

Con la crisi economica dell’ultimo decennio, il fenomeno dell’eccessivo indebitamento è diventato sempre più diffuso. Non solo imprese e operatori commerciali, ma anche lavoratori che avendo perso il posto di lavoro non sono più stati in grado di far fronte ai propri debiti.

Non sono rari i casi di quei padri di famiglia che, ad esempio, perso il lavoro, non sono stati più in grado di pagare il mutuo alla propria banca, o di quei piccoli imprenditori in crisi i quali, volendo continuare a pagare i dipendenti della propria azienda, in attesa di tempi migliori abbiano scelto di non pagare alcuni tributi, con la inevitabile conseguenza di maturare una esposizione debitoria (maggiorata di interessi, sanzioni e aggio) nei confronti del fisco.

Talvolta, queste situazioni di indebitamento incontrollato hanno condotto i protagonisti a decisioni estreme come quella di togliersi la vita. Per cercare di porre un argine a questa situazione è stata pensata la legge del 2012, in proposito ribattezzata dalla stampa come “salva suicidi”.

L’intento della legge in commento è quello di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento:  il debitore non soggetto a fallimento, infatti, può concludere un accordo con i creditori nell’ambito di una procedura denominata «Composizione della crisi da sovraindebitamento», che soddisfa i creditori senza trascurare i bisogni della famiglia del debitore e delle sue reali capacità di pagamento.

In concreto la legge consente ad alcuni soggetti non fallibili in gravi difficoltà economiche (come professionisti, pensionati, piccoli imprenditori) di avviare una procedura diretta a conseguire la liberazione integrale dai propri debiti (anche fiscali), mediante un pagamento rateale concordato nonché con una forte riduzione dell’esposizione debitoria complessiva.

La legge in questione, prevede in realtà tre diverse procedure:

1-l’accordo del debitore;

2-la liquidazione dei beni;

3-il piano del consumatore.

Sebbene in tutti e tre i casi la procedura sia abbastanza snella, nell’applicazione pratica la legge ha creato, sin dal suo nascere, una serie di problemi e di dubbi interpretativi sia per gli operatori del diritto che per i cittadini e gli imprenditori. Qual è la procedura da seguire, i documenti da presentare? Vediamone meglio i contenuti e i dettagli.

Sovraindebitamento: cosa vuol dire?

Una corretta analisi dell’istituto deve partire dal significato di sovraindebitamento. Con esso, infatti, ci si riferisce ad una situazione di perdurante squilibrio tra i debiti contratti e il patrimonio per farvi fronte, nonchè la definitiva incapacità del debitore ad adempiere regolarmente le proprie obbligazioni.

Infatti, possono fare ricorso alle procedure previste da questa legge: i consumatori che non hanno più la possibilità di pagare oppure le imprese non soggette a fallimento, che non possono dichiarare fallimento e sono costrette a fronteggiare le pretese dei creditori.

Sovraindebitamento: quali benefici dalla procedura?

Dalla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento è possibile trarre numerosi vantaggi. In primo luogo, la possibilità di ridurre i debiti, pagarli ratealmente ed in proporzione alle reali possibilità del debitore ed ai fabbisogni della sua famiglia. Allo stesso tempo, il beneficiario della legge può ottenere dal giudice anche la cancellazione delle segnalazioni sfavorevoli eventualmente comparse nelle banche dati del sistema creditizio, avendo così la possibilità di accedere di nuovo ai finanziamenti.

Sovraindebitamento: dove e come attivare la procedura

Per attivare la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento va presentato un ricorso presso il Tribunale del luogo di residenza del debitore. Nel corso della procedura, il debitore può essere affiancato da appositi Organismi di Composizione della Crisi (detti Occ). Questi sono promossi da Enti pubblici, Camere di commercio o Ordini professionali e hanno le competenze professionali necessarie ad accompagnare il debitore nella redazione della proposta di composizione della sua situazione di sovraindebitamento e nell’esecuzione della stessa. Allo stato questi organismi non sono presenti in tutte le città d’Italia, per cui per quei posti in cui non sono ancora stati costituiti, il Tribunale provvede alla nomina di un professionista (avvocato, commercialista o notaio) che ne svolge il ruolo.

Molti Tribunali, in forza della sentenza CASS. n. 19740/2017 che sancisce come requisito fondamentale il livello di specializzazione ottenuto dal Gestore nell’ambito dell’OCC, è ritenuta preferibile la nomina attraverso l’OCC, considerando inammissibili di fatto i ricorsi presentati ai sensi dell’art. 15 della L. 3/2012.

Sovraindebitamento: i metodi di composizione della crisi

Come anticipato i metodi per comporre la crisi da sovraindebitamento sono 3 ed in particolare:

  • accordo del debitore (riservato a debitori con partita iva non soggetti a fallimento);
  • piano del consumatore (riservato al consumatore stesso);
  • liquidazione del patrimonio del debitore (riservato sia ai debitori con partita iva non soggetti a fallimento, che al consumatore).

Sovraindebitamento: l’accordo del debitore

L’imprenditore, l’azienda non soggetta a fallimento ed il consumatore possono proporre ai creditori un accordo per ristrutturare e definire i debiti sulla base di un piano che tenga conto delle loro effettive reali capacità di pagamento e del fabbisogno della famiglia. In concreto il piano consiste in stralci, rateazioni, cancellazione degli interessi ecc. e per la redazione del piano possono essere assistititi da un Organismo di composizione della crisi.

a-PROPOSTA DI ACCORDO.

La proposta di accordo per la ristrutturazione del debito è attuabile quando ci sia il consenso dei creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti.

Alla domanda di ammissione alla procedura per la composizione della crisi da sovraindebitamento vanno allegati una serie di documenti tra cui:

  • l’elenco dei creditori con l’indicazione delle somme dovute;
  • l’elenco dei beni del debitore;
  • l’elenco degli atti di disposizione compiuti negli ultimi 5 anni;
  • la copia delle ultime 3 scritture contabili con attestazione di autenticità agli originali;
  • l’attestazione della fattibilità della proposta (a cura dell’Occ);
  • l’elenco delle spese necessarie per il sostentamento della famiglia del debitore;
  • l’autocertificazione stato di famiglia del debitore.

Il Giudice, accertata preliminarmente la sussistenza dei presupposti e dei requisiti previsti dalla legge, fissa con decreto l’udienza di omologazione dell’accordo.

b-DECRETO DI OMOLOGAZIONE.

Attraverso questo decreto, il giudice ordina una serie di prescrizioni per consentire la pubblicità della proposta e l’adesione alla stessa da parte dei creditori.

Non tutti i creditori, però, hanno diritto di esprimersi sulla proposta. Ad esempio, i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca dei quali la proposta prevede l’integrale pagamento non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di esprimersi sulla proposta. Pertanto, ai fini dell’omologazione, l’accordo si ritiene raggiunto quando la proposta ottenga il consenso dei creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti ammessi ad esprimersi. Il giudice, entro sei mesi dalla presentazione dell’istanza, deve provvedere in ordine all’omologazione.

Effetti dell’omologazione

L’accordo del debitore omologato diventa vincolante sia nei confronti del debitore, sia nei confronti di tutti i creditori sorti precedentemente alla data di pubblicazione del decreto di ammissione alla procedura. Ulteriore effetto dell’omologazione dell’accordo del debitore è la preclusione ai creditori con titolo posteriore di procedere esecutivamente sui beni oggetto dell’accordo/piano, quantomeno fino alla completa esecuzione del piano; inoltre, devono risultare tutti gli atti dispositivi dei beni posti in essere in violazione dell’accordo/piano.

Durante il periodo di esecuzione dell’accordo l’Organismo di composizione della crisi vigila sul suo corretto adempimento, mentre il Giudice si occupa di supervisionare la procedura, garantendo un controllo di legalità all’attuazione del piano.

Giurisprudenza in materia di esdebitazione.

1-Corte di Cassazione (15586/2018) – Presupposto per il riconoscimento del beneficio dell’esdebitazione: soddisfazione almeno parziale di almeno una parte dei creditori concorsuali. Valutazione rimessa al giudice del merito.

Deve considerarsi consolidato il principio che afferma che il beneficio dell’esdebitazione sia concedibile anche nel caso di omesso soddisfacimento del ceto creditorio inteso nella sua globalità, in particolare in caso di mancato appagamento anche dei creditori chirografari, in quanto l’almeno parziale soddisfazione dei creditori concorsuali, richiesta dall’art. 142, secondo comma, L.F. per il riconoscimento di quel beneficio, si deve considerare riferita alla massa e non ai singoli.

Spetta al giudice di merito e al suo prudente apprezzamento accertare se e quando i riparti dell’attivo fallimentare realizzati integrino quella sia pur parziale soddisfazione dei creditori richiesta per il riconoscimento al fallito del beneficio dell’esdebitazione, senza che tale valutazione possa costituire oggetto di censura in sede di legittimità.

2-Corte di Giustizia dell’Unione Europea, VII Sezione, 16 marzo 2017 – Pres. A. Prechal, Rel E. Jarasiunas. Fallimento: concessione del beneficio dell’esdebitazione in caso di non integrale liquidazione dell’IVA (questione pregiudiziale e decisione sulle spese).

Diritto dell’UE – Necessaria armonizzazione delle legislazioni degli stati membri – Fallimento –Esdebitazione – Mancata integrale soddisfazione del credito per IVA –  Concessione del beneficio – Ammissibilità. Giudizio dell’UE – Spese della procedura – Decisione demandata al giudice nazionale.

Il diritto dell’Unione, in particolare l’articolo 4, paragrafo 3, TUE e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, nonché le norme sugli aiuti di Stato, deve essere interpretato nel senso che non osta a che i debiti da imposta sul valore aggiunto siano dichiarati inesigibili in applicazione di una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede una procedura di esdebitazione con cui un giudice può, a certe condizioni, dichiarare inesigibili i debiti di una persona fisica non liquidati in esito alla procedura fallimentare cui tale persona è stata sottoposta (pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte di Giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, dalla Corte suprema di Cassazione italiana con ordinanza del 6 maggio 2015, relativamente ad un procedimento pendente tra l’Agenzia delle Entrate e il socio accomandatario di una società fallita e fallito in proprio, in merito ad una cartella di pagamento dell’IVA residua, inviata a quel contribuente ammesso alla procedura di esdebitazione ex artt.142 e 143 L.F.).

Nel procedimento principale pendente innanzi al Giudice nazionale, la presente causa rappresenta un incidente volto alla risoluzione di una questione pregiudiziale, onde allo stesso compete la decisione sulle spese.

3-Le Sezioni Unite della Cassazione del 18 novembre 2011, n. 24215, hanno osservato come l’introduzione anche nel nostro ordinamento dell’istituto de quo costituisca espressione dell’orientamento per cui, pur essendo l’insolvenza uno dei possibili esiti, certamente negativi, riconducibile all’attività imprenditoriale svolta, tuttavia non può ricollegarsi a tale esito infausto la definitiva eliminazione dal mercato dell’imprenditore e l’automatica dispersione della ricchezza costituita dalle esperienze da questi acquisite. Di conseguenza, l’estinzione dei propri debiti, sia pure subordinata all’esistenza di specifiche condizioni, assume per l’imprenditore fallito una valenza centrale, costituendo la premessa indispensabile per riprendere la propria attività senza pendenze di sorta e per espandere pienamente le proprie potenzialità, senza dover subire limitazioni per effetto dei debiti precedenti.

D’altra parte, il riconosciuto carattere eccezionale dell’istituto dell’esdebitazione, in quanto derogante ai principi della responsabilità patrimoniale generale (art. 2740 c.c.) e di sopravvivenza delle obbligazioni insoddisfatte nel fallimento (art. 120 L.F.), è riconducibile all’avvertita esigenza di consentire al debitore imprenditore di ripartire da zero, dopo aver cancellato i debiti pregressi (cd. discharge).

Tanto premesso, le Sezioni Unite ritengono che solo un’interpretazione lata della norma potrebbe inserirsi coerentemente in un sistema volto a facilitare il reinserimento nel mercato di un soggetto produttivo di reddito e lavoro al fine di incrementare altresì le opportunità di crescita del Paese. Pertanto, l’art. 142 L.F. deve essere interpretato nel senso che, ai fini dell’accesso al beneficio dell’esdebitazione, occorra il pagamento di una parte dei debiti esistenti. Tuttavia, non stabilendo il legislatore alcunché in ordine all’entità dei crediti da soddisfare rispetto al totale, è rimesso al prudente apprezzamento del giudice del merito il compito di accertare quando la prescritta condizione si sia verificata, ovvero quando la consistenza dei riparti realizzati consenta di affermare che l’entità dei versamenti effettuati, valutati comparativamente rispetto a quanto complessivamente dovuto, costituisca quella parzialità dei pagamenti richiesta per il riconoscimento del beneficio.

Viceversa, richiedere la soddisfazione in qualche misura di tutti i creditori concorsuali implicherebbe un’applicazione dell’istituto del tutto marginale, contraria all’obiettiva volontà del legislatore di garantirne al contrario un diffuso utilizzo a beneficio e protezione del tessuto imprenditoriale del Paese.

4-La Suprema Corte di Cassazione torna ad affrontare il tema dell’esdebitazione, in una recentissima pronuncia, l’ordinanza n. 7550 del 27 marzo 2018, nella quale ribadisce il favor per l’imprenditore fallito.

La Suprema Corte di Cassazione, infatti, ribadisce l’importanza dell’istituto dell’esdebitazione il quale, permettendo l’estinzione dei debiti legati all’esercizio dell’attività imprenditoriale fallita, costituisce l’anticamera di una possibile ripresa di una nuova attività per l’imprenditore fallito, altrimenti pregiudicata dalla imponente pregressa esposizione debitoria.

L’istituto dell’esdebitazione, ispirato ad un indubbio favor debitoris, è espressione del mutato sentire comune, anche a livello europeo, dell’insolvenza; insolvenza non più valutata con un’accezione invalidante e negativa ma come uno dei possibili esiti dell’attività imprenditoriale.

In quest’ottica, quindi, l’esdebitazione si pone come un istituto con una valenza decisiva sia sotto il profilo della ripresa economica del singolo imprenditore sia sotto il profilo concorsuale.

L’imprenditore fallito, incentivato dalla previsione dell’istituto dell’esdebitazione, con ogni probabilità tenderà a non porre in essere condotte dilatorie ed ostruzionistiche nei confronti della procedura, confidando nella cancellazione dei debiti pregressi una volta chiuso il fallimento.

Il tutto con evidenti risvolti positivi anche per i creditori del fallito che potranno giovarsi di procedure concorsuali più celeri e capienti.

La Giurisprudenza, sin dalle prime pronunce sul tema, ha sposato un’intepretazione estensiva della normativa sull’esdebitazione.

Nell’ultimissima pronuncia citata, la Suprema Corte si ripete nuovamente nell’affermare l’opportunità che l’esdebitazione venga concessa al debitore fallito onesto ma sfortunato, dando maggior rilievo, ai fini della concessione del particolare beneficio, non tanto al criterio oggettivo (quindi al soddisfacimento di parte dei creditori concorsuali) quanto al criterio soggettivo (che attiene alla meritevolezza del debitore fallito ad ottenere l’esdebitazione).

Pertanto, a parere degli Ermellini, la concessione o meno dell’esdebitazione non deve limitarsi al confronto sterile dei dati contabili della procedura fallimentare ma deve avere ad oggetto sì l’analisi di tali dati filtrati però dall’esame e dalla valorizzazione anche dei comportamenti tenuti dal debitore fallito prima della procedura di fallimento e durante la stessa.

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Questioni particolari:

1-Cessione del quinto e pignoramento verso terzi in relazione alle procedure di sovraindebitamento.

Cessione del quinto e pignoramento dello stipendio possono avvenire contestualmente, quindi coesistere, gravando nello stesso arco temporale sulla retribuzione di un lavoratore.

Ciononostante è possibile richiedere l’accesso alla procedura di sovraindebitamento prevista dalla Legge 3/2012 in virtù della evidente condizione di difficoltà economica che un debitore sta attraversando.

Lo scopo è, prima di tutto, fare chiarezza tra cessione volontaria del quinto e pignoramento dello stipendio ed, in secondo luogo, capire come la Legge 3/2012 può essere d’aiuto per uscire dalla condizione di sovraindebitamento.

La cessione del quinto consiste in una particolare forma di prestito personale prevista dall’ordinamento italiano che nasce dalla libera volontà di un soggetto, sia esso un dipendente pubblico, un lavoratore dipendente del settore privato oppure un pensionato.

Grazie a tale strumento il soggetto ottiene un finanziamento, impegnandosi a restituire quanto dovuto attraverso una rata che verrà decurtata direttamente dalla propria busta paga o dalla pensione.

L’importo della rata sarà pari ad un quinto dello stipendio o della pensione e la decurtazione delle rate non potrà avvenire per un periodo superiore a 10 anni.

Il pignoramento, invece, è un istituto disciplinato dal nostro ordinamento che prevede un’esecuzione forzata, sul patrimonio del debitore, da parte di un creditore.

Pertanto il pignoramento dello stipendio o della pensione (ad esempio, un pignoramento presso terzi), inflitto al debitore per debiti non onorati, prescinde dalla sua volontà e può avvenire nella misura massima di un quinto dello stipendio o della pensione.

Il testo unico n. 180/1950 stabilisce che le quote oggetto di pignoramento dello stipendio si calcolano sull’importo della retribuzione in busta paga al netto di ritenute fiscali e trattenute previdenziali.

Queste due decurtazioni possono coesistere?

Una volta stabilite sinteticamente le differenze tra i due tipi di decurtazioni che possono agire sulla retribuzione o sulla pensione, la domanda a cui abbiamo urgenza di rispondere è: possono coesistere cessione del quinto e pignoramento dello stipendio?

La risposta è affermativa.

Sempre il D.P.R. n. 180/1950, all’art. 68, disciplina il caso in cui su una retribuzione gravi contestualmente un pignoramento e una cessione volontaria.

La normativa stabilisce che la presenza delle due decurtazioni possa avvenire:

1-tanto nel caso in cui la cessione volontaria della retribuzione avvenga cronologicamente dopo il pignoramento;

2-quanto nell’ipotesi in cui la cessione volontaria della retribuzione avvenga cronologicamente prima del pignoramento;

Nel primo caso, quando quota dello stipendio del debitore è già sottoposto a pignoramento, la parte data in garanzia del creditore a fronte di una cessione non può essere superiore alla differenza tra i 2/5 della retribuzione (al netto delle trattenute) e la quota sottoposta a pignoramento.

Ragionando con esempi numerici: a fronte di una retribuzione che decurtata delle trattenute, ammonti a 100 e sulla quale si sia insinuato un pignoramento di 1/5, pari quindi a 20, la quota che può essere ceduta a garanzia di un terzo creditore sarà pari a 20, cioè la differenza tra 40 (corrispondente ai 2/5 di 100) e 20 (importo della quota oggetto di pignoramento).

Nel secondo caso, in cui la cessione dello stipendio sia anteriore rispetto al pignoramento, la quota che potrà essere sottoposta a pignoramento non potrà avere un importo superiore alla differenza tra la metà della retribuzione e la quota già ceduta volontariamente.

Ragionando, anche qui, con esempi numerici: qualora il soggetto percepisse uno stipendio che al netto delle trattenute fosse di importo pari a 100 e su tale retribuzione vi sia una cessione del quinto, quindi di 20, un eventuale successivo pignoramento non potrà avere un importo maggiore di 30, cioè della differenza tra la metà della retribuzione (50) e la quota già ceduta in precedenza con cessione.

Cessione del quinto o pignoramento dello stipendio:  accesso alla Legge 3/2012.

La Legge 3/2012, nota anche come Legge “Salva Suicidi”, si rivolge a tutti i soggetti non fallibili che stanno vivendo una condizione di squilibrio finanziario e fanno fatica ad onorare i debiti contratti in precedenza, anche a causa di una cessione del quinto o di un pignoramento dello stipendio o della pensione.

Se si sta affrontando una condizione di difficoltà economica si può valutare la possibilità di accedere ai benefici offerti dalla Legge 3/12.

 “I Benefici Della Legge 3/2012 Sul Sovraindebitamento: Quali Sono E Come Ottenerli.”

È possibile uscire dal sovraindebitamento grazie a 3 soluzioni offerte dalla Legge 3/2012:

1-Il piano del consumatore: una sorta di piano di riparto dei propri debiti sulla base di una rata mensile calcolata sulle tue reali capacità economiche;

2-La liquidazione del patrimonio: la messa a dismissione, totale o in parte, del tuo patrimonio per far fronte ai debiti contratti;

3-L’accordo con i creditori: come è facilmente intuibile prevede un accordo che soddisfi la maggioranza dei creditori.

2-Sovraindebitamento e procedura esecutive immobiliari: la liquidazione degli immobili nelle procedure di sovraindebitamento.

Un’altra questione ha ad oggetto il rapporto che sussiste tra la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento mediante proposta di un piano del consumatore, e le procedure esecutive di cui al Codice di rito.

Innanzitutto, ci si chiede se l’accesso alla procedura di cui alla L. n. 3/2012 comporti la sospensione dell’eventuale procedura espropriativa iniziata dal creditore nei confronti del debitore. Tale quesito è di notevole rilevanza, se si considera il recente intervento legislativo (Decreto Legge n. 83/2015 del 27/06/2015, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 132 del 6/08/2015), che ha offerto la possibilità al debitore che si è visto notificare il precetto – atto prodromico all’espropriazione – di porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento, mediante l’ausilio degli organismi di composizione della crisi o di un professionista delegato dal giudice, concludendo con i creditori un accordo o proponendo agli stessi un piano del consumatore.

Ebbene, il comma 2 dell’art. 12-bis della Legge n. 3 del 2012 sembra dare una risposta affermativa al predetto quesito, in quanto prevede che “quando, nelle more della convocazione dei creditori, la prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano, il giudice, con lo stesso decreto [di fissazione dell’udienza di convocazione dei creditori c. 1 ex art. 12-bis], può disporre la sospensione degli stessi sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo”.

Dunque, senz’altro è possibile la sospensione della procedura esecutiva a partire dal giorno in cui viene emanato il decreto di fissazione dell’udienza per la convocazione dei creditori.

Ma che succede se nel periodo di tempo che intercorre tra la data del deposito della proposta di piano del consumatore ex art. 9 della citata legge e la data di emissione del decreto di fissazione dell’udienza ex art. 12-bis c. 1, il creditore ha avviato la procedura esecutiva?

In questa ipotesi, il debitore potrà percorrere due strade:

  • potrà proporre istanza al Giudice del sovraindebitamento per chiedere la sospensione della procedura esecutiva avviata dal creditore e la contestuale fissazione dell’udienza di convocazione dei creditori ex art. 12-bis c. 1;
  • ovvero potrà proporre la medesima istanza di sospensione direttamente al Giudice dell’esecuzione, ovviamente prima che sia intervenuta la vendita o l’assegnazione dei beni pignorati. In quest’ultimo senso si è orientato il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Lodi che, con ordinanza del 2015 emessa all’udienza per l’assegnazione del credito, ha sospeso il pignoramento presso terzi avviato dal creditore procedente in considerazione del fatto che vi era un procedimento pendente dinanzi al giudice del sovraindebitamento, finalizzato all’omologazione del piano del consumatore.

Se si sceglie la seconda strada, peraltro, ben potrebbe il debitore depositare istanza di sospensione presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione già al momento dell’iscrizione a ruolo del pignoramento da parte del creditore, senza attendere l’udienza per l’assegnazione delle somme (in particolare nel caso del pignoramento presso terzi) ovvero quella per la vendita dei beni pignorati.

Resta da chiarire quali siano gli effetti reali del provvedimento di sospensione della procedura esecutiva.

Al riguardo, l’art. 626 del Codice di Procedura Civile dispone che “quando il processo è sospeso, nessun atto esecutivo può essere compiuto, salvo diversa disposizione del giudice dell’esecuzione”.

Ebbene, se da un lato ciò comporta che il creditore non potrà soddisfarsi con il bene o con il credito pignorato sino a quando sussiste la causa di sospensione, non potendo, ad esempio, chiedere la vendita o l’assegnazione dei medesimi beni pignorati, dall’altro lato il provvedimento di sospensione del procedimento esecutivo non pregiudica gli atti compiuti anteriormente alla sospensione, i quali, pertanto, conservano la loro efficacia. Ciò rileva in particolar modo nel pignoramento presso terzi indirizzato, ad esempio, verso conti correnti bancari, dove, a seguito della notifica dell’atto di pignoramento, le Banche sono obbligate a tener “congelate” le somme di denaro presenti sui conti correnti del debitore esecutato, fino a quando non sia il Giudice dell’esecuzione a disporne la liberazione.

La conseguenza pratica è che il debitore, nelle more del procedimento di omologazione del piano del consumatore, pur avendo ottenuto la sospensione della procedura esecutiva sarà costretto a non poter usufruire del credito pignorato, almeno fino all’estinzione del processo esecutivo.

Tale risultato è in verità poco soddisfacente per il debitore, tanto più se si considera che, nella diversa procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento attivata mediante proposta ai creditori, vige un vero e proprio divieto di intraprendere azioni esecutive sino a quando il provvedimento di omologa del giudice del sovraindebitamento non diventa definitivo, pena la nullità degli atti esecutivi compiuti dal creditore. Infatti il comma 2, lett. c) dell’art. 10 della Legge n. 3/2012 prevede che il giudice del sovraindebitamento, con decreto di fissazione dell’udienza per la convocazione dei creditori, “dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullita’, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali ne’ disposti sequestri conservativi ne’ acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore; la sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili”.

In conclusione, la procedura del piano del consumatore prevista alla Legge n. 3 del 2012 è senza dubbio uno strumento innovativo e che offre importanti garanzie al debitore-consumatore che non è più in grado di onorare i suoi debiti, né di soddisfare le esigenze di vita quotidiana proprie e della sua famiglia. Ciononostante, sarebbe stato opportuno che il legislatore estendesse la sanzione della nullità degli atti esecutivi – prevista per il procedimento di omologazione dell’accordo con i creditori – anche al procedimento di omologazione del piano del consumatore.