Dalla fondazione al trust
16 Giugno 2011 by admin
L’istituto della fondazione appare insufficiente nell’amministrazione di patrimoni non divisibili, perché legati all’arte, alla cultura, alla storia. Un’alternativa dai Paesi di “common law”.
Vi sono beni che necessitano di una cura e di un’amministrazione unitaria al fine di preservare la loro destinazione e il loro valore nel tempo: si pensi a una biblioteca, a una collezione o a immobili di interesse artistico, storico o naturale.
Varie possono essere le minacce all’integrità del patrimonio suddetto: si pensi al rischio di un’eventuale esecuzione su tale bene da parte dei creditori e soprattutto a quella rappresentata dal concorso degli eredi nel caso di successione.
Si pone quindi il problema della ricerca degli strumenti giuridici ottimali per garantire al tempo stesso l’unitarietà dei patrimonio nel tempo e il soddisfacimento degli interessi della proprietà, soprattutto quando questa è rappresentata da privati.
Il nostro ordinamento giuridico presenta alcuni ostacoli nel perseguimento delle suddette finalità. In primo luogo per la presenza di alcuni principi e norme tradizionalmente ritenuti inderogabili, quali, con riferimento al nostro caso: il sistema chiuso dei diritti reali, l’ampia tutela della quota di legittima, il divieto dei patti successori e del fidecommesso in materia successoria.
Lo strumento tipico predisposto dal nostro ordinamento per preservare l’unitaria destinazione di un patrimonio è rappresentato dalla fondazione disciplinata dal libro primo del Codice civile.
Tale strumento appare sotto più profili inefficiente: in primo luogo per il vincolo del perseguimento di finalità pubbliche al quale l’istituto è destinato che giustificherebbe i controlli e le possibilità dì intervento da parte dello Stato nei confronti dello stesso, a partire dal riconoscimento della personalità giuridica fino alla possibilità, in particolari circostanze, dì sostituzione degli amministratori e di trasformazione dell’ente. Ciò è vero anche per il tipo particolare previsto dal Codice civile che è rappresentato dalla cosiddetta fondazione di famiglia, cioè quella “destinata a vantaggio soltanto di una o più famiglie determinate”.
Soltanto le disposizioni sulla trasformazione della fondazione da parte dello Stato non si applicano alla fondazione di famiglia, mentre sussistono tutti i rimanenti poteri di controllo da parte dell’autorità pubblica.
I CARATTERI DELL’ANSTALT DEL LIECHTENSTEIN
- Retta dallo statuto
- Lo statuto può essere modificato dal fondatore o da chi per esso
- Può essere anonima
- Non è tenuta a presentare un bilancio
- Non è soggetta a controlli amministrativi
- Deve depositare lo statuto c/o l’Ufficio del registro del commercio
- I documenti depositati non sono pubblici
Fonte: Largo Consumo
Inoltre, nella prospettiva della costituzione di una fondazione di questo tipo in funzione successoria, stando a quanto sostenuto da alcuni Tribunali, anche la fondazione di famiglia dovrebbe perseguire un interesse pubblico, incorrendo in caso contrario nel divieto di fidecommesso.
Se a seguito del riconoscimento della personalità giuridica la fondazione si presenta pertanto come un ottimo strumento dal punto di vista della realizzazione di una piena autonomia patrimoniale, nella prospettiva del perseguimento degli interessi privati del fondatore la sua importanza è quasi nulla.
L’inefficienza degli istituti interni diretti al soddisfacimento delle finalità sopraindicate, non è stata colmata nemmeno dai recenti interventi del legislatore in materia di enti non profit.
Anche in altri ordinamenti dell’Europa continentale, si è tentato di colmare tali lacune con la previsione di apposite figure che rendano la fondazione uno strumento al tempo stesso più duttile alle esigenze dei privati e più agile ai fini della gestione: si pensi alle riforme francesi e austriache degli anni Novanta, alla figura dell’esecutore testamentario del sistema tedesco e delle anstalten del Liechtenstein. Queste ultime sono state guardate con crescente entusiasmo dalla pratica, quali veicoli ideali e ottimali di gestione e trasmissione a causa di morte dei patrimoni.
Lo schema è simile a quello della fondazione: un fondatore destina una parte del proprio patrimonio al perseguimento di uno scopo preciso, di natura sia familiare sia pubblica, attribuendolo alla fondazione. Al fine dì raggiungere lo scopo perseguito il fondatore nomina un organo amministrativo denominato “Consiglio di fondazione” che può essere assimilato a un consiglio di amministrazione, del quale possono far parte sia persone giuridiche sia fisiche, cittadine del principato o straniere (dotate o meno di residenza). Attraverso lo statuto vengono regolate le modalità di decisione del Consiglio, riguardino esse le capacità di decidere con le maggioranze richieste e/o i diritti di firma individuali e collettivi. Il fondatore, o chi da lui designato, può in qualsiasi tempo modificare lo statuto, così come sciogliere la fondazione. Come si vede la struttura dell’anstalt è tale da garantire al massimo grado l’autonomia è il perseguimento degli interessi privati del fondatore.
Caratteristica distintiva delle anstalten rispetto alle nostre fondazioni è data poi dalla possibilità di designare con lo statuto uno o più beneficiari ed eventuali successivi, definendo le parti di patrimonio a essi destinato.
Così, per esempio, il “signor Rossi” potrebbe dar vita a una fondazione di famiglia come fondatore che immette il patrimonio e allo stesso tempo nominarsi come primo beneficiario.
Inoltre il fondatore può istituire eventuali beneficiari successivi, anche mortis causa, potendo, con gli opportuni accorgimenti tecnici, modificare in ogni tempo le proprie statuizioni. Tale facoltà si porrebbe in contrasto, ove venisse utilizzata nel nostro ordinamento per scopi successori, con il divieto di fidecommesso. In concreto la vicinanza dell’anstalt con il nostro modello di fondazione è assai limitata, stante la natura spiccatamente privata degli interessi perseguibili con la prima.
Tra le molteplici ragioni del successo di questo istituto sono poi da menzionare: la garanzia dell’anonimato, l’assenza di obblighi di presentazione del bilancio e di controlli da parte della pubblica amministrazione. L’anstalt acquista infatti personalità giuridica già al momento della costituzione, senza obbligo di iscrizione in pubblici registri, unicamente depositando lo statuto presso l’Ufficio del registro del commercio, da cui il nome di “fondazione depositata”. Tuttavia i documenti depositati, a differenza di quanto avviene in molte altre nazioni, non sono accessibili al pubblico. La segretezza dell’istituto è resa poi completa dall’assenza di obblighi di redazione di bilanci annuali e di trasmissione degli stessi alle autorità amministrative.
Si comprende quindi bene come ci si trovi di fronte a un istituto allettante, in considerazione anche dei vantaggi fiscali che esso comporta, essendo l’anstalt assoggettata, per il divieto della doppia imposizione, al solo regime tributario del Liechtenstein, particolarmente favorevole rispetto agli altri Paesi europei, inoltre la natura atipica delle anstalten, non perfettamente sovrapponibili né a un tipo di società né alla fondazione tradizionalmente intesa, ne ha fatto un antesignano della fondazione d’impresa e della società unipersonale. Caratteristica fondamentale di questo istituto è data infatti dalla possibilità delle anstalten di esercitare, a differenza delle fondazioni del libro primo del Codice civile, attività d’impresa per fini privati, realizzando al tempo stesso l’autonomia e la segretezza.
Da qui i dubbi circa l’ammissibilità di tale istituto nel nostro ordinamento, in considerazione anche dell’assenza di una legge di riconoscimento, essendosi la giurisprudenza espressa in passato per la non applicabilità del Trattato italo-svizzero sul riconoscimento delle società straniere, data la natura unipersonale dell’istituto.
Se tali dubbi sono stati fugati dalla dottrina e dalla giurisprudenza italiana, sulla base dell’applicazione della Convenzione di Bruxelles del 29 febbraio 1968, recepita con legge 28 gennaio 1971 n. 220, permane l’inammissibilità per il nostro ordinamento di utilizzi di tale strumento con finalità elusive legate soprattutto alla segretezza che caratterizza l’istituto.
Diverso è invece il quadro di riferimento nei sistemi di common law ove siamo in presenza di un istituto, il trust, dotato di un’ampia gamma di possibili applicazioni sia in campo imprenditoriale (basti pensare all’origine del termine antitrust) sia soprattutto al fine di soddisfare gli interessi per cosi dire “familiari” (charities).
Il trust è un particolare negozio fiduciario, con uno schema base costituito da tre soggetti, vale a dire il disponente (settlor), il trustee, colui cioè al quale sono trasferiti i beni con l’onore di gestirli e il beneficiario; alcuni dei soggetti possono anche mancare o coincidere: per esempio il disponente può anche istituirsi come trustee o come beneficiario. La particolarità dell’istituto ha le sue radici però nella tutela reale della quale dispongono sia il trust sia i beneficiari, dovuta all’originaria duplicità delle corti inglesi dì common law e di equity.
I CARATTERI DEL TRUST
- È formato da 3 figure chiave; disponente, trustee e beneficiario
- Realizza l’autonomia patrimoniale senza venire a costituire persona giuridica
- Non è in contrasto con il divieto di patti successori o di fidecommesso
- Si fonda sulla Convenzione dell’Aja (1 luglio 1985), ratificata nel nostro ordinamento con legge 16 ottobre 1989, n. 364
- L’1 ottobre 2003 il Tribunale di Bologna ha stabilito la legittimità dei trust interni
Fonte: Largo Consumo
Il meccanismo del trust, in origine utilizzato proprio in funzione successoria, si presta oggigiorno a molteplici utilizzi che nei sistemi di common law vengono realizzati con l’utilizzo di diversi strumenti, tra i quali appunto la fondazione.
Ulteriore caratteristica che consente di preferire il trust alla fondazione italiana è quella legata al fatto che il primo realizza l’autonomia patrimoniale senza venire a costituire una persona giuridica.
Questo fatto permette di superare molti degli ostacoli, visti in precedenza, all’utilizzo della fondazione in funzione successoria o più in generale per il perseguimento di interessi privati. Così non sussiste in linea di principio un contrasto tra trust e divieto di patti successori o di fidecommesso, salvo poi verificare caso per caso l’utilizzo legittimo dell’istituto.
Accanto a questo si collocano i vantaggi che tale istituto presenta sotto il profilo dell’analisi economica dovuti alla maggiore flessibilità rispetto ai tradizionali strumenti interni e ai minori costi di costituzione.
L’attualità dell’istituto del trust nel dibattito giuridico del nostro Paese è dovuta all’adesione dell’Italia alla Convenzione dell’Aja dell’1 luglio 1985, ratificata con legge 16 ottobre 1989 n. 364, per la quale veniva riconosciuta la possibilità di regolare trust aventi aspetti di internazionalità facendo riferimento a un Paese che disponesse del trust.
A seguito di tale adesione il trust è divenuto da istituto straniero da conoscere e regolamentare a soluzione alla quale sempre più guarda la prassi nella ricerca di un istituto ottimale per la gestione e la tutela del patrimonio. In un primo tempo sono stati sollevati molti dubbi sull’ammissibilità di trust interni, vale a dire trust nei quali mancasse un elemento di internazionalità, così come sulla compatibilità di tale istituto con il nostro ordinamento.
Dubbi tuttavia fugati stando all’attuale atteggiamento anche della giurisprudenza in merito ai trust. Una recente sentenza del Tribunale di Bologna dell’ 1 ottobre 2003 ha infatti stabilito la legittimità dei trust interni, con argomentazioni puntuali e ampiamente soddisfacenti, dirette a contrastare alcune sentenze precedenti di segno opposto, sostenendo non solo la piena ammissibilità di tale istituto rispetto ai principi dell’ordinamento, ma anche la sconvenienza legata alla scelta proibizionista dalla quale conseguirebbe la frustrazione delle esigenze dei cittadini italiani e il trasferimento “all’estero della gestione di capitali e immobili”.
Anche dal punto di vista degli strumenti di tutela si va verso una maggiore integrazione dello strumento del trust in Italia: se infatti non è possibile date le caratteristiche e gli strumenti processuali dei quali disponiamo garantire una tutela reale assimilabile a quella dei sistemi di common law, tuttavia una serie di pronunce giurisprudenziali ha ammesso la possibilità di trascrizione del trust. Si tratta di pronunce importanti che consentono di guardare con “fiducia” a un istituto da più parti avvertito come necessario, come dimostra il sempre maggiore ricorso della prassi a tale strumento e non solo per operazioni d’importo elevato.