Gli effetti del Trust sull’operatività d’impresa
15 Giugno 2010 by admin
IL CONTRATTO DI FIDUCIA – Un disegno di legge comunitario delega al Governo l’approvazione della disciplina del “contratto di fiducia”. Il Trust, così, è sempre più presente nella dialettica politica e riformista italiana. Uno strumento che permette ad un soggetto di trasferire beni, diritti o somme di denaro, specificamente individuati in forme di patrimonio separato, a un altro soggetto chiamato ad amministrare il tutto seguendo determinati obiettivi. Secondo l’avvocato Vittorio Buonaguidi, il cui studio legale e tributario associato – Battagliese & Buonaguidi, Milano – ha seguito alcuni dei più importanti “casi pilota” in materia, «l’Italia è testimone di un successo sempre più evidente del Trust». Tuttavia, interviene l’avvocato Guido Battagliese, uno dei pionieri italiani nell’applicazione di tale strumento: «il nuovo disegno di legge crea un qualche imbarazzo negli operatori già dalla titolazione del nuovo istituto con quel richiamo alla fiducia, che nulla a che fare con il trust vero e proprio. Senza dimenticare poi che il trust è già a pieno titolo strumento giuridico dell’ordinamento italiano sin dal 1992, con l’ef-fettiva entrata in vigore della legge di ratifica della “Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985 sulla legge applicabile ai trust(s) e al loro riconoscimento”. Sono quindi quasi venti anni che nel panorama giustizia del nostro paese gli operatori a vario livello (professionisti e giudici) applicano l’istituto del Trust tanto che il nostro legislatore è già intervenuto in materia per disciplinarne la fiscalità».
Avvocato Buonaguidi, dunque una proposta da valutare positivamente?
«Non ne sentivamo il bisogno. Per il momento però siamo solo all’inizio del percorso legislativo. L’esatta denominazione dello strumento e il contenuto dei diritti e degli obblighi che sorgeranno dal suo utilizzo si riveleranno di fondamentale importanza. Occorre puntare alla prevenzione di ogni eventuale conflitto interpretativo con altri contratti tipici già esistenti all’interno del nostro codice civile. Inoltre, un’eccessiva tentazione del legislatore di snaturare i tratti caratteristici dell’istituto per renderlo pienamente compatibile con un sistema di diritto di civil law, potrebbe ridurne le potenzialità. D’altra parte il legislatore delegante ha imposto al governo di non produrre norme generali dell’istituto ma di disciplinare casi e utilizzi particolari dello strumento, si veda l’articolo 10, D, punto 1 della legge delega. Una scelta consequenziale e logica in virtù della legge di ratifica del 1992, la quale ha introdotto in Italia i principi generali sul modello internazionale del trust come previsti dalla convenzione dell’Aja».
Quali operatori dovranno impegnarsi per l’affermazione di questo strumento?
«Sarà vitale la sensibilità dei magistrati, chiamati a giudicare sui vari casi posti alla loro attenzione. Per quanto concerne la legge delega, invece, considero fondamentale il ruolo degli operatori specialisti, anche attraverso le principali associazioni che li rappresentano. Realtà come “Il Trust in Italia” e la STEP Italia di cui noi siamo membri, potrebbero contribuire consistentemente alla creazione di un nuovo istituto di matrice italiana, senza però privarlo dei suoi tratti essenziali».
In che modo potranno beneficiarne le imprese?
«Per le imprese rappresenta uno strumento utile e flessibile sia nella fase di sviluppo, sia in quella di crisi. Si tratta di un’alternativa o di un complemento all’utilizzo di altri strumenti classici del nostro ordinamento giuridico. L’aspetto innovativo risiede in alcuni effetti tipici della sua operatività. Pensiamo alla segregazione del patrimonio conferito in trust, la sua separazione dal patrimonio del disponente nonché da quello del trustee, la sua durata anche oltre la vita dei soggetti ori-ginari dell’accordo, la sua capacità di garantire la riuscita di accordi Ira le parti. La crisi ha poi palesato la necessità di proteggere i principali asset aziendali e i beni personali dai potenziali attacchi dei creditori non aderenti alle varie operazioni di ristrutturazione. E evidente che in questo contesto di mercato, il ruolo di noi avvocati sarà sempre più strategico. L’imprenditore non potrà fare a meno di avere l’apporto dello specialista».