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In attesa di giudizio

Alla fine di marzo è stata promulgata una legge che pone riparo alle lungaggini dei procedimenti civili e cerca di ridurre in modo drastico il ricorso alia Corte europea dei diritti dell’uomo.

Finalmente – dopo anni di attesa e richieste che venivano da più parti, dalle associazioni dei consumatori al Consiglio d’Europa – anche in Italia è stato istituito un apposito procedimento che permette di chiedere un risarcimento danni in caso di eccessiva durata di un procedimento giudiziale. Tale novità è stata introdotta con la legge 24 marzo 2001 n. 89 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 78 del 3 aprile 2001. Prima l’unico effettivo rimedio contro l’eccessiva durata di un procedimento civile era quello di ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo contro l’Italia. Il contenzioso contro l’Italia davanti ai giudici di Strasburgo è andato man mano aumentando, fino a rischiare addirittura di ingolfare il ben funzionante meccanismo della Corte. Di pari passo sono andate aumentando le condanne al risarcimento danni contro il nostro Paese per l’eccessiva durata dei processi civili. È capitato più di una volta che la Repubblica italiana ricevesse una decina di condanne in un solo giorno. Con la legge 24 marzo 2001 n. 89 il legislatore si è per fortuna reso conto di tale situazione, sulla scorta anche del fatto che ormai la Corte europea dei diritti dell’uomo adottava una sorta di presunzione di colpevolezza contro il nostro Paese, e ha deciso di istituire un particolare procedimento per poter richiedere direttamente in Italia il risarcimento dei danni per l’eccessiva durata. Si è modificato l’articolo 375 del Codice di procedura civile inserendovi un’apposita sezione dedicata al diritto all’equa riparazione di un danno patrimoniale o non patrimoniale derivante dalla violazione del termine ragionevole di durata dei processi stabilito dall’articolo 6, comma 1 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” sia esso una persona fisica, giuridica o un’associazione, possa instaurare un procedimento per denunciare l’eccessiva durata di una causa civile presso la Corte di appello limitrofa a quella dove pende la causa “denunciata”. È possibile denunciare l’eccessiva durata, e richiedere il relativo risarcimento di danni patrimoniali e non, sia nel caso di procedimenti civili, tributari e militari, sia in quelli che sono genericamente indicati come “altri casi”. È quindi da ritenere che si possa instaurare tale procedimento, e in ciò siamo confortati dalla costante giurisprudenza dei giudici di Strasburgo, anche nel caso in cui si denunci l’eccessiva durata di un procedimento penale o amministrativo. In quest’ultimo caso, a dire il vero, la Corte europea aveva stabilito che il ricorso fosse ammissibile solamente nel caso in cui, avanti al giudice amministrativo, si discutesse di un diritto soggettivo e non di interessi legittimi. Tuttavia l’ambito di ammissibilità di tali ricorsi è andato ampliandosi con il tempo e, a ogni buon conto, la norma italiana sembra essere ancor più permissiva della, già generosa, giurisprudenza dei giudici di Strasburgo, per cui dovrebbe essere possibile già da ora denunciare l’eccessiva durata anche di un qualsiasi processo pendente presso il Tar o il Consiglio di Stato. La domanda di equa riparazione potrà essere proposta già durante il giudizio di cui si assume l’eccessiva durata; si pensi per esempio a una causa civile che duri da oltre 10 anni e di cui non sia prossima la sentenza. Sarebbe assurdo attendere la fine di tale grado di giudizio per poter proporre il ricorso. Tuttavia nel caso in cui una causa si sia conclusa vi è l’onere, pena l’inammissibilità del relativo ricorso, di agire entro 6 mesi dal momento in cui la decisione deve considerarsi come definitiva. La Corte di appello adita, se necessario, può disporre l’assunzione come prove degli atti e dei documenti del processo che si sta contestando per la sua lungaggine e, ove ravvisi una violazione del termine ragionevole di durata, disporre, a favore del ricorrente, un risarcimento del danno. Nel disporre tale risarcimento il giudice rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il cosiddetto termine ragionevole, mentre il danno non patrimoniale è riparato, oltre che con una somma di denaro, anche attraverso adeguate forme di pubblicità che dichiarino l’avvenuta violazione. Da ultimo è prescritto che la Corte d’appello, in sede di decisione, si pronunci con decreto, impugnabile successivamente solo in Cassazione, entro 4 mesi dal deposito del ricorso. È evidente come la normativa ora esposta faciliti le richieste di risarcimento danni contro lo Stato per le lungaggini dei processi, dato che non bisogna più ricorrere a Strasburgo utilizzando avvocati esperti. Anzi c’è da dire che, essendo stato istituito un valido rimedio contro le lungaggini in Italia, prima di ricorrere a Strasburgo, bisognerà attivare il nuovo istituto locale, pena l’inammissibilità del ricorso in sede europea. D’altro canto il termine di 4 mesi, entro cui la Corte di appello deve pronunciarsi sul ricorso è un mero termine ordinatorio, che cioè non vincola il giudice al suo stretto rispetto.